Il nuovo Parlamento – e, quando ci sarà, il nuovo Governo – dovrebbero riflettere su un tema che il Sole 24Ore è tornato a trattare più volte in pochi mesi, a riprova della sua (sconcertante) attualità: quello della rinuncia alla proprietà degli immobili.
Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile persino immaginare un fenomeno del genere. Ora, invece, capita che sempre più proprietari si informino sulle modalità con cui liberarsi di “beni” che – in molti casi – non danno alcun reddito, sono fonti di spese e non hanno mercato, non essendovi nessuno disponibile ad acquistarli o a prenderli in locazione.
È un fenomeno che fa il paio con un altro, quello del costante aumento delle cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Agenzia delle entrate, rispetto al 2011 – ultimo anno pre Imu – questi immobili sono aumentati del 70%, essendo passati da 278.121 a 474.165 (+196.044). Si tratta di costruzioni che costituiscono un vero e proprio peso per i loro proprietari, che in numero crescente li riducono in ruderi oppure li vedono finire in condizioni di fatiscenza.
È nello spropositato aumento della tassazione locale (patrimoniale) sugli immobili iniziato nel 2012 che risiede la principale causa dell’interesse per la rinuncia alla proprietà (unitamente – come rileva Angelo Busani sul Sole 24Ore del 26 marzo – alla ridotta capacità reddituale delle famiglie).
Il carico di imposizione fiscale abbattutosi sugli immobili a partire dal 2012, insomma, ha avuto i suoi effetti, e non poteva essere diversamente. L’Ici pesava per 9 miliardi di euro annui, l’Imu e la Tasi ne valgono circa 20/21 (dopo l’eliminazione dell’imposta sull’abitazione principale, con esclusione delle abitazioni in A1, A8 e A9). E se si aggiunge la Tari (rifiuti) – che in molti Paesi è compresa nell’imposta locale immobiliare – il conto arriva a più di 30 miliardi.
Naturalmente, i due fenomeni evidenziati – rinunce alla proprietà e aumento dei ruderi – non sono la regola (anche se al di fuori dei centri medi e grandi la situazione è davvero critica). Tuttavia, il loro apparire avrebbe dovuto convincere la politica della necessità di intervenire. Se quella è la punta dell’iceberg, infatti, non è difficile immaginare che il resto del comparto non sia in salute. E infatti il crollo generalizzato dei valori degli immobili è una realtà che ci distingue in negativo in Europa, per nulla mitigata da qualche annuncio di recupero nel numero di compravendite (che sono per lo più compra-svendite).
E allora? Che fare? Dobbiamo rassegnarci a considerare gli immobili come un peso? No di certo. Possiamo agire. Occorre rimuovere i vincoli che impediscono al settore di essere motore di sviluppo dell’economia, incentivando l’investimento nell’immobiliare da parte di famiglie e imprese.
L’onere tributario sul comparto deve essere certamente ridotto e reso equo. In sede locale va previsto un vero tributo sui servizi, deducibile dal reddito per tutti (come è in molti Paesi) e a carico di colui che occupa il bene, proprietario o inquilino che sia (in ossequio al buonsenso, oltre che in coerenza con quanto previsto all’estero). I locali commerciali devono essere salvati dalla condanna all’abbandono, attraverso l’introduzione di una cedolare secca sulla locazione di questi immobili (che nel settore abitativo è un successo) e mediante sgravi per le tasse comunali, con esenzione in caso di sfitto. Vanno stabilizzati gli incentivi per gli interventi di manutenzione, riqualificazione, efficientamento energetico e miglioramento sismico del patrimonio edilizio, oltre che stimolata la rigenerazione urbana. È necessario fornire ai locatori garanzie di rientrare in possesso dell’immobile in tempi certi in caso di morosità o a fine contratto. Occorre favorire lo sviluppo del turismo attraverso la proprietà immobiliare diffusa, così valorizzando anche il nostro esteso patrimonio di interesse storico-artistico.
Bisogna intervenire e bisogna farlo presto.
Giorgio Spaziani Testa
Presidente Confedilizia